[Top Ten] I migliori album musicali del 2013

Ed eccoci qui con la classifica dei 10 migliori album usciti nel 2013… Anzi, le classifiche. Eh si, perché io e il collega Domingo abbiamo deciso di non scrivervi una Top 10, bensì due Top 5. Ma bando alle ciance e vediamo le classifiche:

5. Ayreon – The Theory of Everything

A 5 anni dall’ultimo disco torna il geniaccio olandese Arjen Anthony Lucassen con un doppio disco della durata complessiva di quasi un’ora e mezza. Per questo concept album Lucassen si è circondato da nomi di primo piano del panorama Prog odierno e non solo: il nostro ha infatti voluto con sé musicisti del calibro di Jordan Rudess, Keith Emerson, Steve Hackett e Rick Wackeman solo per citare i più famosi, mentre ha fatto interpretare i vari personaggi dell’epopea a cantanti di livello internazionale del panorama Metal come Tommy Karevik, Marco Hietala e le italiane Cristina Scabbia e Sara Squadrani. Il risultato che ne viene fuori è un’opera massiccia, forse un po’ confusionaria (le tracce sono in totale 42) ma di primo livello.

4. Queens of the Stone Age – …Like Clockwork

Tornano i pionieri dello Stoner con un disco dalle molteplici influenze e dai molteplici musicisti, visto che solo alla batteria si sono susseguite 3 persone diverse. Il disco è di ottima fattura, con pezzi più tranquilli e riflessivi e altri con un tiro maggiore; brani come If I had a tail e My God is the Sun diverranno sicuramente dei classici della band. Da citare le partecipazioni dell’habituè Dave Grohl e dei cantanti Mark Lanegan e Trent Reznor.

3. Haken – The Mountain

Con The Mountain gli Haken si sono imposti come uno dei migliori gruppi Prog Metal in circolazione. Dopo il buon Aquarius e l’ottimo Visions, The Mountain conferma non solo le capacità tecniche ma anche quelle compositive del gruppo inglese. Le influenze dei grandi del genere si sentono ancora (Dream Theater su tutti) ma il quintetto sta trovando una propria via nel panorama Prog odierno. Il singolo estratto dall’album, Pareidolia, è uno dei pezzi migliori della band anglosassone.

2. Dream Theater – Dream Theater

Dopo la problematica separazione dal batterista storico (nonché co-fondatore della band) Mike Portnoy e un disco di passaggio con più ombre che luci i Dream Theater ricominciano con un album dal titolo omonimo e un batterista non più in rodaggio, bensì ben calato nella parte e capace di dare una sua interpretazione ai groove dei Theater. Dream Theater è un disco granitico, con brani più uniti tra loro rispetto agli ultimi lavori e con dei richiami ai bei tempi che furono (Surrender to Reason e The Looking Glass). Pezzi come The Enemy Inside e The Bigger Picture li sentiremo nei live della band di New York per molti anni a venire.

1. Deep Purple – Now What?!

45 anni di carriera e non sentirli. I nonni del Rock sfornano l’ennesimo album della loro carriera (anche se l’ultimo era targato 2005) e mettono a tacere il 90% dei gruppi Rock odierni con un full lenght di qualità sopraffina. Dopo le brutte vicende legate a Ritchie Blackmore e il suo relativo ultimo abbandono (che ha segnato la rinascita dei Deep Purple) la band inglese ha trovato nuova stabilità con Steve Morse alla chitarra, capace di dare una ventata di freschezza e di diventare nel corso degli anni il nuovo trascinatore della band. I 5 non sbagliano un colpo, complice un carisma e un’esperienza che pochi gruppi hanno, e sfornano pezzi di qualità come Apres Vouz, Out of Hand e A Simple Song. C’è ovviamente spazio per un tributo al compianto Jon Lord, compagno di mille serate e nome legato indissolubilmente alla storia dei Purple.

 

Se vi state domandando il perché non ci siamo occupati di una classifica unica, la risposta è quanto di più banale possiate immaginare: ascoltiamo musica diversa, gente. Oxian ne capisce certamente più di me, ma è anche lì il bello: da lui un parere più tecnico, da me uno più da semplice appassionato. Ciancio alle bande, insomma, a voi la mia top 5!

5. Eminem – The Marshall Mathers LP 2

Non sono un grande fan dell’hip-hop, ma di recente ho iniziato ad ascoltare qualcosina. E in questo qualcosina, spiccavano l’ultimo lavoro di Eminem e Settle dei Disclosure. Quest’ultimo però mi convinceva soprattutto nei primi brani (When a fire starts to burn su tutti), finendo tuttavia per darmi a noia con l’avanzare dell’ascolto; Eminem invece ha impacchettato un album decisamente più godibile, forse anche perché non troppo chiuso nel suo genere, e così più apprezzabile anche dai profani. Si alternano brani commerciali a rap che rievocano tutta la cattiveria del primo Slim Shady, si alternano basi totalmente originali a campionamenti, si alternano duetti con più o meno la qualunque. Non siamo ai livelli del primo Marshall Mathers LP, ma non per questo siamo davanti a un brutto album. Basta non rimpiangere Dido per colpa di Rihanna, ma consolarsi con la presenza di Nate Ruess.

4. Simone Cristicchi – Album di famiglia

Musica italiana, sorpresa. Prima di mandarmi a quel paese, però, assicuratevi di aver ascoltato qualcosa di Cristicchi. E di averlo ascoltato bene. Perché qui parliamo di uno dei migliori cantautori italiani contemporanei, capace di raccontarci tanto storie delicate, come l’amore in una casa di riposo, quanto crude, come nel rievocare gli eventi del G8 del 2001. Questo Album di famiglia ha in generale più punti deboli del suo lavoro precedente, ma riesce a parlare con malinconia e consapevolezza di immigrazione, di abbandono, dello stato dell’arte in Italia. Musiche godibili, anche se un poco più introverse che in passato, ma soprattutto testi forti, importanti, da ascoltare, capire, digerire.

3. Bastille – Bad Blood

I Bastille sono stati un po’ la sorpresa di quest’anno. Da un “meh, carini” dopo aver visto il video di Pompeii, non li ho più calcolati per diversi tempo, prima di decidermi a dar loro una possibilità e ascoltarne l’album. Che non mi ha entusiasmato subito, ma che è cresciuto ascolto dopo ascolto, entrandomi in testa quasi quanto l’esordio degli Imagine Dragons aveva fatto lo scorso anno. Brani come Things we lost in the fire, Icarus, Flaws o Laura Palmer, un pop certamente non originalissimo, non sconvolgente, non rivoluzionario, ma non per questo non apprezzabile: i loro brani funzionano, la voce di Dan Smith è interessante al punto giusto, i cori sono più che godibili. Certo, ogni tanto tentano di fare i Muse, altre volte puntano a fare i Coldplay, ma senza mai esagerare, e d’altronde, sarebbe davvero un male?

2. Lady Gaga – Artpop

Gaga is back. Dopo una campagna pubblicitaria martellante e aspettative enormi (“pop culture was in art, now art’s in pop culture in me“), il risultato è stato infinitamente sotto le aspettative. Nonostante tutto, si afferma come il migliore, o comunque uno dei migliori, album pop dell’anno, e una conferma, se non di pubblico, quantomeno qualitativa per la Germanotta, capace soprattutto nei live di dimostrarsi una delle migliori artiste del suo tempo, nel suo campo e non solo. Gaga parte con il botto grazie all’intrigantissima Aura, e prosegue con brani che osano meno rispetto alla partenza, ma che si attestano su ottimi livelli, intervallate giusto da un paio di passi falsi. Segue lo schema degli album precedenti regalandoci una ballad di spessore, in questo caso Dope, e supera se stessa con Gypsy, un brano dal sapore internazionale che, mi auguro, non farà la stessa fine di Americano. Lady Gaga non rivoluziona il pop, non arriva a fare arte, ma ci regala un album bello, divertente, e puramente pop.

1. Ministri – Per un passato migliore

Boom! Il rock dei Ministri ritorna in tutto il suo splendore, con un album maestoso, compatto seppur lontano dalla logica del concept album, e per certi versi addirittura superiore alle loro ultime produzioni. Voce, chitarra, basso e batteria, i Ministri continuano a macinare pezzi forti, martellanti, originali, e rock come pochi riescono oramai in Italia, uniti a testi di buon livello, anche se in passato ci hanno regalato lyrics di miglior pregio. E il loro tour, dio!, è qualcosa di eccezionale, un entusiasmo indimenticabile. Per un passato migliore vince a mani basse grazie alla voce e al basso di Davide “Divi” Autelitano, alla chitarra di Federico Dragogna, alle batterie di Michele Esposito. A brani forti come Mammut o Comunque, introspettivi come I tuoi weekend mi distruggono o Una palude, eccentrici come Caso umano o Se si prendono te, e a gioielli come La pista anarchica o Spingere. Il mio 2013 lo vincono loro.

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