I grandi album del passato: Kamelot – The Black Halo

I Kamelot sono una band Power – Symphonic Metal formatasi in Florida nel 1991. Debuttarono nel 1994 ma il successo arrivò qualche anno dopo grazie agli innesti di Casey Grillo alla batteria e del talentuoso Roy Khan alla voce. I due più grandi successi dei Kamelot sono i concept album Epica (che dà il nome all’omonimo gruppo di Simone Simons, grande fan dei Kamelot) del 2003 e The Black Halo, pubblicato nel 2005, che basano la loro storia sul celebre Faust di Goethe, dove il protagonista Faust vende la sua anima al Diavolo. Oggi vi parlerò della seconda parte di questa storia, del secondo concept album dedicato al Faust; oggi vi parlerò di The Black Halo.

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I Kamelot nel 2005, da sinistra: Barry, Youngblood, Grillo e Khan.

Il disco presenta tutte le caratteristiche tipiche della band americana: ai groove di doppia cassa tipicamente Power si affiancano ballate struggenti e tristi, mentre la voce di Roy Khan e i cori femminili presenti in tutto il disco danno una forma epica, oscura, romantica e decadente a tutto l’album. Contrariamente a quanto può sembrare i Kamelot nel 2005 non avevano un tastierista come membro ufficiale della band, anche se tutti i brani hanno parti di tastiera: nel tour successivo all’album venne chiamato il tedesco Oliver Palotai, che divenne poi membro ufficiale.

Visto la natura di concept album e il legame con il precedente Epica, non vi parlerò della trama e dei testi, ma mi limiterò alla parte musicale.

Il disco si apre con March of Mephisto e con la prima special guest dell’album: si tratta di Shagrath dei Dimmu Borgir che offre il suo Growl al personaggio di Mephisto. Il brano parte con un sample di tastiera e il rullante di Casey Grillo a ritmare la voce di Shagrath: il main riff è cadenzato e lascia presto la scena a Khan, che da subito prova della sua duttilità musicale. Il brano si sviluppa in modo prevedibile fino al break dove è ancora Khan il protagonista; il frontman della band lascia però spazio ad un solo di tastiera di Jens Johansson degli Stratovarius, che suona un solo anche nella seconda traccia dell’album, When the Lights are Down. Questo brano è tipicamente Power, con chitarra effettata e doppia cassa pressante sempre presente; un bel cambiamento rispetto al primo brano. Qui Khan si fa più arrabbiato e oscuro, e questo è solo l’inizio.

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La splendida Simone Simons, guest star dell’album.

Il terzo brano vede la partecipazione di Simone Simons, grande fan del gruppo che collaborerà altre volte con la band americana, anche nei live. Il brano si intitola The Haunting (Somewhere in Time) ed è una Power Ballad toccante e potente allo stesso tempo; il duetto Khan – Simons è da brividi, due delle migliori voci del genere riunite nello stesso pezzo. Il riff che accompagna la fine del brano è la classica ciliegina sulla torta di una delle canzoni più belle dell’album.

Delle sirene in lontananza ci preparano per il successivo Soul Society, con un Khan introspettivo e chiuso che riesce ad interpretare al meglio sia le emozioni e gli stati d’animo che la trama e i testi delle varie canzoni. Si tratta di un bel pezzo Power, impreziosito dai soliti cori femminili tanto cari ai Kamelot.

Interlude I: Dei Gratia è una corta intro che spiana la strada a quella che è la perla del disco, nonché uno dei migliori brani di tutta la discografia dei Kamelot: Abandoned. Il pezzo parte con una soave linea di piano accompagnata dalla voce di Mari Youngblood, moglie del chitarrista Thomas Youngblood e collaboratrice dei Kamelot. Piano e linee di tastiera accompagnano un delicato Roy Khan. Il letto musicale si sposa alla perfezione con la linea del cantante, che arriva a toccare le corde dei cuori degli amanti di questo tipo di musica. Il pezzo si apre nella seconda parte con una marcia rullata da Casey Grillo e grazie ad una parte cantata da Mari; il terzo e ultimo ritornello è accompagnato da tutta la band e dai vocalizzi di Mari. Non nascondo di essermi commosso più e più volte con questo brano, uno dei più struggenti e decadenti che abbia mai ascoltato in vita mia.

La traccia numero sette si intitola This Pain, che parte con un arpeggio di chitarra acustica subito affiancato da una sinistra base di Hammond e da una chitarra elettrica; il main riff è più nella norma, con uno stacco all’inizio della strofa cantata. La canzone è in linea con il resto dell’album e non si discosta dagli stilemi dei Kamelot. La successiva Moonlight si apre con delle gravi note di piano per lasciare spazio ad una chitarra quasi Thrash, subito accompagnata dalle tastiere. Solito stacco e strofa con piano – charleston – voce; nel ritornello la canzone si trasforma quasi in una Power Ballad, con quel senso angoscioso e triste che pochi gruppi riescono a dare.

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Roy Khan prima che una crisi depressiva e la fede (sì, la fede) lo allontanassero dalla band.

Interlude – Un Assassinio Molto Silenzioso è una intro cantata in italiano da Cinzia Rizzo, preludio per la title track, The Black Halo. Questa è sicuramente una delle canzoni più oscure e ad effetto di tutto l’album: parte con doppia cassa e tastiere supportate da una chitarra rabbiosa; la strofa è più calma ma comunque carica; il ritornello ha una carica epica incredibile grazie al coro che accompagna Roy Khan e al drumming di Casey Grillo. Dopo il break ed il solo, il brano si chiude con un altro splendido ritornello.

Nothing Ever Dies torna al Power Metal, ma anche qui i Kamelot non rinunciano ad un break romantico e decadente supportato da un bel solo di Thomas Youngblood.

Siamo quasi alla fine dell’album, e si torna alle ballate strappalacrime con Memento Mori, Power Ballad di ben nove minuti che anticipa gli ultimi due brani. Roy Khan è superlativo, ed è come sempre ben supportato dalla band. Menzione anche per il bassista Glenn Barry, mai sopra gli altri ma sempre ben presente. La canzone si anima nella seconda parte arrivando a toccare il Power nel pre-solo e nel solo stesso.

Interlude III: Midnight Twelve Tolls for a New Day è un pezzo importante per la trama (che non spoilero), ma skippabile in senso musicale, visto che non è una vera e propria canzone. Il disco si chiude con la Power Ballad Serenade, pezzo Power di ottima fattura dal ritornello molto epico.

Questo era The Black Halo, uno dei dischi migliori dei Kamelot. Spero vi sia piaciuta come recensione, e se non li conoscete vi consiglio vivamente di dargli una possibilità. Non ve ne pentirete.

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